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IL PLAGIO – Capitolo II

Inserito il 22 ottobre 2012 da Silvia CROCI

Capitolo II “MODALITA’ DI ATTUARE IL PLAGIO”

Paragrafo 1. Emittente: fattori personali e situazionali

Molti plagiatori possono esibire molteplici caratteristiche comportamentali di un capo carismatico e cioè una rilevante abilità di affascinare e sedurre le persone. Poiché essi sembrano apparentemente normali, non sono facilmente riconoscibili come deviati o disturbati. Benché solo un professionista possa fare una diagnosi, è importante essere in grado di riconoscere questo tipo di personalità per evitare ulteriori abusi. Molti autori concordano nel tracciare il loro profilo, che comprende caratteristiche di fascino superficiale, con un linguaggio che può essere usato senza sforzo per confondere e convincere. Sono accattivanti narratori che possono intrecciare una rete che cattura gli altri e poiché sono convincenti, hanno la capacità di distruggere i loro critici verbalmente o emotivamente. Usano manipolazione e astuzia, non riconoscono mai i diritti degli altri e considerano i propri comportamenti come permessi. Sembrano essere affascinanti, eppure sono nascostamente ostili, vedono le loro vittime solo come uno strumento da usare e nei loro confronti hanno atteggiamenti di dominio ed umiliazione. Posseggono un grandioso senso dell’ego: sentono certe cose come propri diritti, pretendendo adulazione e servilismo. Devono essere al centro dell’attenzione e nel fare ciò il più delle volte creano una situazione in cui si pongono contro tutti. Non hanno problemi a mentire freddamente e facilmente ed è quasi impossibile per loro rimanere leali ad una coerente base consistente; possono creare e rimanere coinvolti in una complessa diatriba sui propri poteri ed abilità in cui sono estremamente convincenti. Emerge quindi, dalla lettura dei testi consultati che le caratteristiche principali di un plagiatore sono innanzitutto la manipolazione del comportamento o del carattere di una persona, adottando uno stile di leadership carismatica. E’ presente sempre la separazione della vittima dalla famiglia, dagli amici e dalla società; in generale e viene promossa la visione della situazione di plagio come una nuova famiglia con la quale stabilire un rapporto esclusivo. Seguono nel maggiore dei casi forti e sempre crescenti richieste di denaro ed in alcuni casi viene richiesto alla vittima di firmare un testamento o una procura che nomini il plagiatore come unico erede. Chi plagia deve avere attenzione, capacità di codifica e di decodifica, un buon controllo delle proprie emozioni e una buona capacità mnestica. E’ emerso che i plagiatori, alle volte detti “attori nati” conoscono la loro capacità di mentire con disinvoltura e con successo, come anche impara a conoscerla a sue spese chi li frequenta. Fin da bambini l’ hanno sempre fatta franca, riuscendo a ingannare genitori, insegnanti ed amici tutte le volte che volevano. Non provano nessuna ansia all’idea di essere scoperti: si fidano della propria capacità di ingannare il prossimo. Una tale sicurezza, il non provare grande apprensione all’atto di mentire, sono dei segni della personalità psicopatica. Altre caratteristiche di tipo psicopatico che li accomunano, sono il fascino superficiale, la mancanza di rimorsi o di vergogna, il comportamento antisociale senza pentimento apparente, l’egocentrismo patologico e l’incapacità di amare. Chi plagia deve avere una mente combinatoria flessibile, una mente che lavora scomponendo idee, concetti o “parole” nei loro elementi base e ricombinandoli poi nei modi più vari; i manipolatori sono persone estremamente individualistiche e competitive, non si adattano facilmente ad una grossa organizzazione e tendono a lavorare da soli. Sono spesso convinti della superiorità delle proprie idee. I grandi plagiatori hanno forse bisogno di due abilità molto diverse: quella necessaria a ideare una strategia fondata sull’inganno e quella indispensabile a sviare i sospetti dell’avversario in un incontro faccia a faccia. Per certe persone vincere è tutto e per loro la posta è alta in qualunque competizione; la posta in gioco può essere così squisitamente individuale che un osservatore esterno faticherebbe a capire di che si tratta. Come già emerso dal profilo che li contraddistingue, è necessario che chi plagia susciti attraenza cioè piacere e interesse nell’altro. Infatti, una fonte attraente chiama in causa prevalentemente fattori di carattere affettivo. I motivi per i quali qualcuno suscita attrazione possono essere la bellezza, la simpatia, perché lo sentiamo simile, perché è familiare e anche perché a sua volta mostra di apprezzarci, perché ci è vicino; si può anche essere sensibili al fascino della diversità e della estraneità. Il maggiore o minore impatto di ciascuno di questi fattori può variare da una persona all’altra ed anche in relazione all’età del bersaglio. L’attraenza, provoca un processo di identificazione che porta ad adottare la posizione della fonte per emularla. E’ anche noto che un attrazione molto forte nei confronti di un altra persona, può arrivare a produrre effetti devastanti, arrivando ad indurre una persona ad uccidere o ad uccidersi. In ultima analisi, ho potuto constatare che ogni rapporto di plagio si consuma nel progetto del soggetto prevalente, il plagiatore, che per l’interesse del proprio potere e della propria affermazione, vuole la riduzione dell’altro, la vittima, a oggetto ma, nello stesso tempo, perché il progetto si realizzi, è costretto a reclamare il mantenimento della soggettività dell’altro. Certo, c’è una ragione per la quale la soggezione si esercita sul mondo di qualcuno e non di qualche altro. Il modo di intervenire del soggetto dominante sul mondo dell’altro può essere illustrato con l’afferrare o prendere tramite qualcosa, che designa i modi dell’aggressività umana. L’afferrare si manifesta tra l’altro come un impressionare e un prendere per il loro debole delle passioni e degli affetti, che è un modo di suggestionare facendo leva su ciò a cui l’altro è più sensibile, trovando la via d’accesso più facile al suo modo d’essere. Questa, che per quel che riguarda il plagio, può sembrare una semplice violenza psicologica, deve la sua attuabilità al modo in cui si configura il rapporto del soggetto con il mondo, cioè al modo in cui egli è nel mondo, prima di essere per l’altro. Ora se la presa del soggetto sul mondo non è sufficientemente radicata, essa presta il fianco al tentativo di plagio. Una presa instabile sul mondo presenta più lati deboli per l’azione dell’altro. Ma che cosa significa che la presa del soggetto sul mondo è debole? Significa semplicemente che il suo modo di trattare con esso è affidato a forme di trascendenza sempre mutevoli ed incapaci di stabilizzarsi. Il promotore del plagio impone all’altro di mutare le forme del suo rapporto con il mondo, che appaiono instabili, precarie e, insomma, intercambiabili e di sostituirle con una forma di trascendenza mondana in cui la vittima incontra primariamente l’altro ed il suo mondo. Nell’instaurazione del rapporto di potere, il mondo è ora percepito ed interpretato solo attraverso la mediazione dell’altro. Quando il proprio prendersi cura è trasferito e gestito dal plagiatore, in questa delega o espropriazione forzata può instaurarsi il dominio e resta confermato che condizione per un rapporto di potere è l’intervento del più forte sulle relazioni della vittima con il mondo ambiente. La strumentalizzazione si manifesta nella particolarità di questo avere cura, interessato in senso psicologico o economico. Il che si può rappresentare anche come un distanziamento tra la vittima ed il suo mondo, un blocco della trascendenza assunta sotto il controllo dell’altro. Le possibilità ed i progetti propri sul mondo, vengono sequestrate e sottoposte ad una manipolazione estranea. Con la sottrazione del prendersi cura proprio, viene meno il contatto diretto col mondano utilizzabile. Dal momento in cui il soggetto dominante si pone come intermediario fra la vittima e il suo mondo, è come se il mondo si allontanasse, non fosse più alla mano di chi subisce la mediazione. Nel migliore dei casi, il soggetto attivo non intende ricavare un utile pratico dall’appropriazione della cura altrui. Egli vuole interpretarla e farne un esperienza vissuta per sé, confonderla ed identificarla con la propria cura. Nel rapporto di plagio il soggetto dominante si pone come l’altro unico o l’altro per eccellenza. L’esperienza di colui che vive nella soggezione, non permette confronti né incontri col mondo di terzi. Quando la vittima vuole essere come l’altro, essa fa la sua scelta una volta e per sempre, perché se potesse rinnovarla sempre di nuovo, sia pure con lo stesso esito, essa non sarebbe plagiata. Ma in un mondo coartato non c’è alternativa e il modello è destinato a restare tale.

Paragrafo 2. Il messaggio: canali, contesto e qualità

Secondo Fraser (1978), gli elementi della comunicazione interpersonale, si attuano attraverso i canali vocale – uditivo e visivo – cinetico. In particolare attraverso il canale vocale – uditivo si realizza la comunicazione verbale (per quanto attiene alle parole per produrre frasi secondo regole grammaticali) e la comunicazione non verbale (per quanto riguarda gli elementi non verbali del parlato: intonazione, paralinguistica che comporta qualità della voce, pause e vocalizzi). Attraverso il canale visivo – cinetico si realizza la comunicazione non verbale in merito alla mimica facciale, lo sguardo, i movimenti del corpo (gesti), la posizione del corpo nello spazio (postura e distanza) e i movimenti del corpo nello spazio. L’emittente attraverso un canale (mezzo) codifica (produce) un messaggio che in un contesto (situazione) viene decodificato (compreso) dal ricevente. Gli elementi fondamentali a partire dai quali si formano gli schemi del comportamento umano sono i sistemi percettivi con cui i membri della specie interagiscono sul loro ambiente: vista, udito, cenestesi e olfatto\gusto. Il postulato è che ogni nostra esperienza in atto può essere utilmente codificata come composta di qualche combinazione di queste categorie sensoriali. Innanzitutto è possibile intervenire sullo STIMOLO: la fonte che lo produce, il mezzo che lo rende percepibile, lo stimolo stesso. Tipicamente ciò si applica alla percezione visiva. Si può poi intervenire sul CANALE che va dallo stimolo agli organi di ricezione del ricevente; vi si interpone un ostacolo. Al messaggio, in quanto oggetto percettivo, si applicano ricorsivamente le azioni di oscurare, distruggere, schermare, deviare, confondere. Si può intervenire sull’APPARATO o ORGANO PERCETTIVO per impedire che raccolga lo stimolo. Poniamo che lo stimolo venga comunque raccolto dall’apparato percettivo: è ancora possibile non fare assumere la conoscenza relativa, intervenendo nei vari punti dell’elaborazione cognitiva, impedendo cioè che lo stimolo sia processato, riconosciuto, compreso o creduto. L’impedimento al recupero di conoscenze ed alla loro elaborazione cognitiva può essere attuato inoltre anche con mezzi che interferiscono direttamente sulle funzioni psichiche o cerebrali: si impedisce che la conoscenza in questione venga ricordata (rimozione indotta, lavaggio del cervello, elettroshock: procurata amnesia). Inoltre, si è verificata che la sola presenza di altre persone nel contesto riduce l’impatto di un messaggio. Un ambiente rumoroso facilita il consenso fra i membri di un gruppo e rafforza la tendenza a rifiutare posizioni devianti; si è constatata una maggior resistenza alla persuasione in ambiente rumoroso. Quando la fonte non è presente, le modalità di trasmissioni audio e video di presentazione del messaggio offrono meno opportunità di riflettere sulle argomentazioni rilevanti per il problema. La ripetizione di un messaggio non ne aumenta necessariamente l’impatto. Spesso all’origine di un processo di influenza, e a maggior ragione anche nel plagio, vi è un messaggio, ossia un informazione che viene trasmessa dalla fonte al bersaglio. Un problema importante o coinvolgente per il soggetto provoca una più attenta riflessione e se la posizione della fonte è valida, anche una maggiore persuasione. Secondo la classica teoria assimilazione – contrasto, le persone valutano la posizione espressa dalla fonte confrontandola con la propria idea iniziale: se la discrepanza è troppo forte la posizione della fonte viene contrastata e rifiutata, se la discrepanza non è eccessiva si attiverà un processo di assimilazione e la posizione della fonte sarà accolta. Un messaggio forte di argomentazioni suscita nel bersaglio pensieri prevalentemente favorevoli; quello debole al contrario suscita pensieri sfavorevoli; quello misto provoca pensieri di entrambi i tipi. E’ il messaggio forte ad avere il maggiore impatto persuasivo. La vividezza di un messaggio, ossia la sua capacità di attrarre e trattenere la nostra attenzione e di eccitare l’immaginazione ha un debole effetto persuasivo. La paura induce in primo luogo una motivazione a proteggere se stessi; un messaggio è analizzato con attenzione quando contiene informazioni che possono rassicurare il soggetto. Tuttavia, quando un messaggio contiene una minaccia intensa, immediata e che coinvolge direttamente il bersaglio, la paura favorisce in ogni caso una elaborazione accurata. Gli aspetti formali di un messaggio vengono, in genere considerati meno importanti del suo contenuto. Può essere opportuno presentare il messaggio in forma bilaterale, esponendo anche argomentazioni contrarie al proprio punto di vista. Tale tecnica permette, tra l’altro, di rafforzare la resistenza del soggetto a successivi tentativi di fargli nuovamente cambiargli idea. E’ comunque opportuno che gli argomenti contrastanti con la propria tesi vengano presentati dalla fonte prima di quelli a favore. Un aumento del numero di argomenti che la fonte adduce a sostegno della sua posizione (da tre a nove) provoca un maggiore effetto ma solo quando i soggetti sono poco coinvolti dal problema. L’effetto primacy, per il quale è l’informazione ricevuta per prima ad avere più impatto e l’effetto recency, per il quale invece è l’ultima informazione ad ottenere l’influenza maggiore: sembra essere più forte l’effetto primacy. Il ricorso a domande retoriche (in cui la risposta è già implicita nella domanda) per intensificare l’impatto di una determinata affermazione è un espediente usato frequentemente nei messaggi pubblicitari. Quando la comunicazione viene espressa oralmente dalla fonte, entrano in gioco altri fattori che favoriscono o ostacolano la persuasione; si tratta di aspetti stilistici collegati alla sua presentazione. Una distinzione di carattere generale è quella tra stile discorsivo potente o assertivo e stile non potente. Tra i fattori che rendono poco potente uno stile vi sono: l’uso di vocalizzi (“uhm”, “ehm”), il ricorso frequente al condizionale (“vorrei dire”), un ridondante uso di forme di educazione (“non vorrei apparire inopportuno”), un lessico eccessivamente forbito. Queste caratteristiche sono meno frequenti quando la fonte si avvale di uno stile discorsivo potente. La velocità di un eloquio può condizionare l’impatto di un messaggio. E’ il diverso assetto cognitivo della mente dell’altro che determina quale sia il modo migliore per plagiarlo. Chi plagia fa uso anche dell’inganno che richiede semplicemente esistenza di processi cognitivi in un sistema ed una interferenza su di essi. Interventi accidentali nei vari punti del processo di acquisizione di conoscenze possono indurre in inganno il sistema cognitivo (provocargli illusioni, abbagli, previsioni errate, ecc ..); interventi mirati sugli stessi punti critici possono ingannarlo deliberatamente o funzionalmente. Chiameremo questi punti critici i loci dell’inganno. Chi plagia fa uso anche delle menzogne; ci sono due modi principali di mentire: dissimulare e falsificare. Nella dissimulazione, chi mente nasconde certe informazioni senza dire effettivamente nulla di falso. Chi falsifica si spinge oltre: non solo l’informazione vera è taciuta, ma viene presentata un’informazione falsa come se fosse vera. Spesso è necessario combinare le due operazioni per portare a termine l’inganno, ma a volte basta la sola dissimulazione. Quando c’è la possibilità di scegliere come mentire, generalmente si preferisce la dissimulazione alla falsificazione. Ci sono molti vantaggi. Intanto, nascondere qualcosa è più facile che riferire il falso. Non c’è bisogno di inventare nulla e non c’è il rischio di farsi cogliere in fallo senza essersi preparati in anticipo una storia ben congegnata. Il modo migliore per dissimulare le forti emozioni è mettersi una maschera. Coprirsi la faccia con la mano o distoglierla dall’interlocutore di solito è impossibile senza tradire la bugia. La maschera migliore è un emozione finta: non solo serve a sviare, ma è il migliore camuffamento. E’ tremendamente difficile mantenere un volto impassibile e restare immobili con le mani quando si prova un’emozione intensa: molto più facile è assumere un atteggiamento fittizio, bloccare o contrastare con azioni diverse quelle che esprimerebbero l’emozione autentica. Ci sono vari altri modi di mentire oltre alla dissimulazione e all’attiva falsificazione, e in particolare, invece di cercare di nascondere un emozione, ammetterla e mentire sulle cause dei sentimenti attribuendola a una causa fittizia. E’ possibile poi dire la verità, ma con fare sprezzante, in modo che la vittima non ci creda; è come mentire dicendo il vero. Esagerare la verità serve a mettere in ridicolo i sospetti altrui, rende più difficile approfondire le indagini. Un tono di voce o un espressione di scherno sono altri ingredienti che servono allo scopo. Parente stretta della tecnica di dire la verità per fuorviare i sospetti è la dissimulazione a metà. Si dice la verità ma solo in parte. Un tono di noncuranza o un elenco incompleto che omette l’elemento cruciale permette al mentitore di reggere l’inganno pur senza dire niente di falso. Un’altra tecnica che permette di mentire senza essere costretti a dire nulla di falso è la risposta evasiva che suggerisce una conclusione sbagliata. Le procedure di esclusione relative al messaggio, sono di due tipi: esterne al discorso, quando alcuni argomenti vengono tendenzialmente occultati o comunque affrontati in maniera sfuggente od esclusiva; oppure interne al discorso, quando si opera un filtro degli argomenti da trattare in base al contesto in cui ci si trova quando si escludono dei soggetti autorizzati a parlare e non è concesso di intervenire a parlare a chi non possiede o socialmente o culturalmente le caratteristiche richieste per affrontare taluni argomenti. L’insieme delle procedure di esclusione costituiscono un valido promemoria per chi intende servirsi della comunicazione verbale come flessibile strumento di padroneggiamento della interazione sociale. Nel colloquio, le parole oscillano, per così dire, dal parlante all’interlocutore, che ne verifica in ogni momento l’interesse ed il valore; il messaggio deve pertanto riuscire ad incidersi validamente nel vissuto dell’interlocutore e per giungere a tale risultato è necessario che sia affine allo status sociale, culturale e psicologico di questi (si confronti a tal proposito l’argomento “ricalco” della programmazione neurolinguistica); abitualmente non deve interferire con l’ ideologia e le caratteristiche dell’uditorio, deve attirarne l’attenzione e puntare al suo coinvolgimento tanto emotivo che razionale. Al fine di ottenere l’adesione alle proprie tesi, l’oratore stesso non potrà prescindere dallo stabilire un valido contatto intellettuale con i suoi ascoltatori su di un substrato che ha a che fare con la comunanza empatico – emozionale. Non è infatti realistico pensare che possa essere accettato il proprio punto di vista o la propria strategia discorsiva, senza avere posto preventivamente attenzione alla disciplina psicologica, alle motivazioni e quindi alle aspettative dell’uditorio. Riassumendo, emerge quindi che le condizioni necessarie affinché si stabilisca comunicazione fra le menti, sono la possibilità concreta di intavolare un discorso, l’esistenza di un linguaggio comune all’oratore e al suo uditorio e attribuire rilievo all’adesione dell’interlocutore alle proprie tesi. Occorre attribuire rilievo all’adesione dell’interlocutore alle proprie tesi in quanto è il consenso che avvalora il discorso dell’oratore. E’ opportuno infatti da parte di chi argomenta, un atteggiamento iniziale di generale modestia, in particolare modo se quanto sta per dire non ha i crismi della indiscutibilità e deve essere verificato anche e soprattutto attraverso la reazione psicologica dell’interlocutore. Inoltre un altro aspetto da tenere presente è la “fisiologia dell’attenzione”, che prevede che l’attenzione tende ad accentuarsi rapidamente nei primi due minuti, dal secondo al dodicesimo è massima, mentre decresce dal dodicesimo al ventesimo minuto, per poi dal ventesimo al trentacinquesimo minuto diventare minima; in quest’ultima fase ben poco viene assimilato. Dal trentacinquesimo al quarantesimo minuto si manifesta una ripresa, mentre si accentua notevolmente dal quarantesimo al quarantacinquesimo minuto. Nei momenti in cui ci si accorge che la curva dell’attenzione si abbassa, l’oratore dovrà abilmente curare la spettacolarietà del messaggio, inventandosi qualcosa di più partecipativo. L’oratore dovrà a tale scopo costruirsi un immagine adeguata e realistica del suo uditorio. L’oratore capace di far presa sul suo uditorio da l’impressione di essere animato dallo stesso spirito dei sui ascoltatori. Questa capacità va ben differenziata dall’eccessiva passionalità, che porta a trascurare l’uditorio stesso ed in definitiva ad operare una scelta inopportuna ed irrazionale degli argomenti. Particolari accorgimenti vanno adoperati nell’argomentazione rivolta ad un solo ascoltatore, in cui prevale la dialettica anziché la retorica dell’uditorio universale, in questo caso, all’interlocutore viene offerta la possibilità di porre domande ed obiezioni e quindi di contribuire personalmente al risultato della discussione, di cui accetterà le conclusioni come verità evidenti, sortite dal confronto serrato con lo stesso oratore. L’impostazione di un qualsivoglia ragionamento, si presenta più efficace e persuasivo se viene utilizzato inizialmente un argomento noto o comunque familiare all’uditorio. E’ stato appurato che esiste un ordine di decrescente forza di convincimento degli argomenti che va dagli argomenti concernente il reale (i fatti, le verità e le presunzioni) agli argomenti concernente il preferibile che sono i valori (concreti ed astratti), le gerarchie e i luoghi del preferibile (per es. della quantità, della qualità, dell’ordine, dell’esistenza, della persona). I fatti descrivono limitati oggetti di accordo, con il termine di verità si indicano sistemi più complessi, caratterizzati da legami tra fatti. Le presunzioni sono ciò che si presume vero, perché nella norma; esse riguardano tutto ciò che ha un vincolo con il concetto di normalità o di modo abituale di essere per quell’uditorio. Gli argomenti concernenti il preferibile, non fanno fulcro sugli assunti inconfutabili. I valori ad es. hanno carattere precario, ma sono tuttavia parte integrante di ogni comunicazione. I valori astratti sono ad es. la giustizia ed i valori concreti quali l’Italia, la Chiesa, la Solidarietà, la Lealtà, la Fedeltà, l’Impegno o la Disciplina. Esempi di valori universali sono invece: il vero, il bene, il bello, l’assoluto. Le gerarchie possono essere anch’esse astratte e concrete: dalla superiorità dell’uomo sugli animali, alla superiorità del giusto sull’utile. E’ importante stabilire la gerarchia tra i valori, che in una valida argomentazione, è più incisiva dello stesso singolo valore. I luoghi del preferibile sono i luoghi dei veri e propri magazzini di argomenti. Vi troviamo i luoghi della quantità: una certa cosa ha più valore di un’altra per ragioni quantitative. I luoghi della qualità hanno poi a che fare con il valore dell’unico, del raro, del difficilmente attuabile, della precarietà; altri possono essere dati dai luoghi dell’opportunità e dell’irreparabile. Altri luoghi possono essere costituiti dai luoghi dell’ordine, dell’esistenza, della persona, ecc… Risulta straordinariamente efficace l’utilizzo delle parole figurate che rievochino immagini, azioni e concetti in grado di incidere direttamente sui processi sensitivi dell’interlocutore. Per avere un maggiore impatto comunicativo, è bene che i passaggi chiave del discorso vengano accentuati con tono di voce o facendoli precedere dal silenzio. Altresì è noto che lo stile rapido favorisce il ragionamento, lo stile lento l’emozione. L’emisfero razionale (il sinistro per i non mancini), obbliga la messa in atto di uno sforzo procedurale logico – intellettivo, con la conseguenza di erigere una sorta di vera e propria barriera all’eventuale acquisizione partecipe, acritica o più semplicemente convinta del messaggio stesso. La forza degli argomenti può essere intenzionalmente sopravvalutata dall’oratore per aumentare il consenso, o volutamente attenuata per fornire una impressione di saggezza e sincerità, così che l’ascoltatore va spontaneamente al di là di quanto suggerisce l’oratore. Può essere impiegato anche un altro tipo di relazione reciproca tra gli argomenti, quello della convergenza, in forza della quale parecchi argomenti separati tra loro, giungono alla medesima conclusione; l’uditorio sarà favorevolmente impressionato da una enumerazione di argomenti isolati che convergono fra loro; è possibile in tal modo amplificare l’aspetto di verità, riflettere sulla eccessiva coerenza delle dimostrazioni fa sospettare una manipolazione dei dati. E’ suggerito anche un ordine con cui disporre i propri argomenti: all’esordio spetterà il compito di conciliarsi l’interesse dell’auditorio, mostrando di possedere valori comuni sui quali si possa agevolmente instaurare un rapporto empatico. Successivamente l’argomentazione potrà assumere due direzioni: indicare subito la tesi che si vuole sostenere e successivamente motivarla: è un metodo che mira a convincere direttamente e può essere adoperato quando la tesi non è confutabile dall’uditorio. Oppure motivare dapprima le proprie posizioni e soltanto in un secondo momento, in sede di conclusione, formulare la tesi che in definitiva si intende dimostrare; è la strategia di chi ha in animo di coinvolgere ancor più emotivamente il suo pubblico e di commuovere gli animi, rintuzzando nel medesimo tempo via via, le obiezioni che la tesi, se invece lanciata all’esordio, avrebbe probabilmente sollevato tutta di un colpo. Il successo che arriderà all’oratore sarà tanto più cospicuo quanto più sarà egli capace di interpretare le aspettative dell’interlocutore, adeguando le tematiche, i ritmi, i tempi della esposizione, nonché le tonalità emotive.

Paragrafo 3. Modalità comunicative (CV e CNV)

I modi di comunicazione tra le parti, nel plagio, sembra siano non razionali, ed in particolare si evince un uso corrente del metodo persuasivo, prevalenza dell’emotività sulla descrittività, superiorità degli atteggiamenti sulle credenze, ricorso alla mozione degli affetti piuttosto che all’esposizione degli argomenti. Venuto a meno il ricorso alle ragioni, non resta di fronte all’urto persuasivo, che la forza emotiva del soggetto, la sua capacità non razionale di resistere all’influenza; il rapporto di plagio si instaura tanto più facilmente quanto minore è il grado di questa resistenza. E’ proprio il linguaggio, facoltà complessa, costituita da simboli scritti, orali e gestuali, a rappresentare la modalità privilegiata attraverso cui gli esseri umani possono relazionarsi fra loro. Il linguaggio è il tramite primario attraverso cui si stabiliscono i rapporti interumani e costituisce un reticolo attraverso cui filtrano la nostra personalità, le speranze e gli obbiettivi di ciascuno. Nella dinamica degli incontri sociali, il linguaggio, a ben vedere, rappresenta il tramite più diretto ed immediato affinché l’interlocutore possa acquisire informazioni non soltanto sui motivi causali o interazionali dell’incontro, ma anche attorno al carattere dell’oratore, alla sua condizione economico-sociale, all’atteggiamento psicologico e alle sue reazioni emotive. In realtà il linguaggio non rappresenta l’unico canale attraverso cui si comunica, ma due sono le strategie: un’attività comunicativa di tipo verbale, attraverso la quale l’oratore espone intenzionalmente i fatti e i concetti che ritiene più adeguati allo scopo che si prefigge e un’attività comunicativa di tipo non verbale, che comprende tutto quanto traspare dai gesti, dai movimenti involontari degli occhi e del volto, dalle relative “esclamazioni”, dalle posizioni del corpo assunte nel corso del dialogo e dell’ interazione sociale. Minore è l’importanza della comunicazione verbale. Si intende per comunicazione non verbale quella comunicazione che comprende la mimica, la prossemica o gestione degli spazi e delle distanze con l’interlocutore, la cinesica o gestione dei propri movimenti gestuali, la paralinguistica (per es. gli uhm! oppure i be!), quest’ultima costituita anche dalle pause, dalle tonalità comunicazionali e quindi dalla musicalità del parlato (prosodia) e in ultimo anche l’espressività emozionale. Non sempre l’esame della comunicazione non verbale (CNV) fornisce informazioni analoghe a quelle che l’oratore trasmette attraverso il canale verbale; difatti questa seconda modalità di comunicazione, esprime a volte situazioni e pulsioni inconsce contrastanti con quanto il locatore va dicendo e la relativa accurata disamina, ci permetterà di cogliere emozioni, atteggiamenti psicologici e di pensiero che superano il contenuto della comunicazione verbale. La comunicazione non verbale, che per buona parte viene a realizzarsi al di sotto della nostra percezione cosciente, rappresenta il 65% di tutta la comunicazione umana e viene percepita dall’emisfero cerebrale destro (per i non mancini) prima ancora delle stesse parole, che raggiungono invece l’emisfero celebrale sinistro. L’emisfero destro è stato definito anche “emisfero emozionale”, in quanto in definitiva è in grado tra l’altro di percepire l’umore e le reali intenzioni altrui attraverso l’analisi istintuale (ancor prima che razionale) dei gesti, dell’espressione facciale, nonché dei contorni melodici ed intonazionali della voce. Pertanto frazioni di attimo prima che la metà sinistra del cervello inizi la sua attività riflessivo – razionale, il reale messaggio sincero e genuino, oppure non convinto ed artificioso dell’oratore, avrà già raggiunto la porzione encefalica più istintuale del cervello (emisfero destro nei non mancini), tutto ciò a beneficio dell’onestà di messaggio e di comportamenti. Quando i messaggi verbali e non verbali colpiscono la corteccia celebrale, la maggior parte di quelli verbali, raggiungono l’emisfero razionale (emisfero sinistro nei non mancini); i messaggi non verbali viceversa fanno essenzialmente capo all’emisfero emozionale sede dei processi emozionali ed istintuali. Attraverso poi la Commessura interemisferica, avviene un continuo scambio di messaggi filtrati. I punti d’azione degli interventi comunicazionali strategici sono essenzialmente tre e consistono nel bloccare l’emisfero sinistro (razionale), nell’ottenere il consenso dello stesso emisfero sinistro e in ultimo nel realizzare un agevole accesso all’emisfero destro (emozionale). L’induzione di blocco dell’emisfero sinistro viene determinato neurolinguisticamente, con finalità distraente l’emisfero razionale e determinante una sorta di temporaneo vuoto di potere logico – critico – analitico. L’ottenere il consenso da parte dello stesso emisfero razionale (utilizzazione dell’emisfero dominante), viene a realizzarsi poi mediante la convinta, autoctona adesione a nuovi concetti e modelli interpersonali eteroindotti da più manovre strategiche dell’interlocutore. Il diretto accesso all’emisfero destro sede dei processi emozionali si realizza poi mediante motti di spirito, metafore, forme linguistiche immaginifiche, aforismi, doppi sensi, giochi di parole, sottintesi, eufemismi, allusioni, ecc… inclusi i messaggi non verbali, inconsci o intenzionalmente gestiti dall’operatore. Mastronardi (1998), propone una scala di comunicazione non verbale, che tiene conto innanzitutto di come si presenta una persona, includendo quindi, aspetto, andatura e abbigliamento, comportamento spaziale, postura e contatto fisico. Vengono poi presi in esame i segni logici sia coscienti che intenzionali, quali gli emblemi e i gesti illustratori. Importanza hanno poi i segni analogici che sono atti compiuti senza il rigido controllo della coscienza, innati, istintivi, metacomunicativi, sovente rivelatori di una emozione nascosta e di frequente in contrasto con le stesse parole contemporaneamente pronunciate. Fanno parte di questa categoria i gesti regolatori, i gesti inconsci adattatori o manipolatori (auto – alter – oggetto adattatori), le espressioni del viso e le manifestazioni dell’emozione. L’ultima categoria presa in considerazione è rappresentata dai segni vocali non verbali, quali i segni prosodici (ritmo – pause, tono, sonarità e timbro), i segni paralinguistici e i rumori emozionali quali il sorriso, il pianto, i sospiri, i mugolii .. L’uomo a differenza degli animali dispone dello strumento del linguaggio parlato per comunicare, il quale però è strettamente legato alla sua comunicazione non verbale e viene sostenuto da essa, la quale si aggiunge al significato delle espressioni verbali, fornisce il feed – back e controlla il sincronismo. Le due componenti possono non essere in sintonia fra loro, ovvero i messaggi non verbali possono contraddire quanto viene comunicato con le parole. Le modalità comunicative sono nell’uomo in gran parte frutto dell’apprendimento, ma occorre rilevare come per quanto riguarda l’espressione delle emozioni e degli atteggiamenti interpersonali coesistano notevoli componenti innate, in buona misura svincolate dal controllo razionale dei centri superiori e pertanto utilissime all’operatore che intenda decodificare ed interpretare lo stato d’animo dell’interlocutore. Molteplici risultano essere le modalità di impiego della comunicazione non verbale e più specificatamente come sostegno del linguaggio verbale, per sostituire il linguaggio verbale, per esprimere delle emozioni, per esprimere degli atteggiamenti interpersonali, per trasmettere delle informazioni sulla persona, nelle cerimonie e nei rituali, nella propaganda, nelle assemblee oppure nelle manifestazioni politiche ed anche nelle arti. Ogni tipo di comunicazione non verbale, svolge una funzione ben distinta nel corso dell’interazione sociale. Essendo riconosciuta la comunicazione non verbale così importante nella comunicazione umana, ritengo sia utile approfondire e chiarire le varie componenti. Intendo prendere in esame per prima cosa l’aspetto che è inteso come forma di comunicazione non verbale in quanto provvede all’auto presentazione, cioè alla trasmissione di messaggi personalizzati riguardanti il proprio status sociale, il ruolo ricoperto nella situazione presente e più in generale la personalità e l’atteggiamento emotivo. Un secondo elemento riguarda l’andatura e l’abbigliamento: l’andatura fornisce alcune informazioni della disposizione ideo-affettiva del soggetto, per es. un delirante persecutorio entrerà lentamente nella stanza con aria sospettosa mentre un depresso entrerà con mestizia e generalmente a testa bassa. L’abbigliamento rivela in parte il proprio atteggiamento verso le norme sociali concernenti l’abbigliamento. Informazioni sulla comunicazione non verbale vengono fornite anche dal comportamento spaziale: la prossemica ha rilevato che gli esseri umani non apprezzano l’intrusione nel proprio spazio personale, ma cercano di mantenere gli altri ad una distanza appropriata, variabile di volta in volta a seconda dell’occasione e del tipo di rapporto sociale. Anche la struttura di personalità condiziona il tipo di comportamento spaziale che viene adottato di volta in volta. Possiamo scomporre il comportamento spaziale in quattro elementi: 1) la vicinanza che è data dalla distanza esistente fra due persone; viene scelto più o meno consciamente il tipo di relazione spaziale più confacente alla natura e alle connotazioni emotive dell’incontro. Può essere intima (consente di percepire l’odore dell’altro e l’intensità delle sue emozioni, nonché di parlare a bassa voce), personale (adoperata nelle relazioni a breve distanza, permette di toccare l’altro), sociale (caratteristica delle relazioni più impersonali, come quando ci si rivolge all’altro da dietro la scrivania), pubblica (è la distanza dell’oratore che compare a pubbliche manifestazioni) – 2)l’orientamento che può variare dalla posizione faccia a faccia a quella fianco a fianco; la prima è prevalente fra coloro che si trovano in una contrattazione o in una situazione analoga, la seconda indica una situazione di cooperazione o di amicizia intima – 3) il comportamento territoriale: l’uomo manifesta un certo tipo di comportamento in relazione a diversi tipi di aree; lo spazio personale (area direttamente circostante il corpo), il territorio personale (area che un individuo controlla in esclusiva, come ad es. la casa, l’auto ..) e i territori domestici (gli spazi usualmente frequentati dai componenti di un gruppo) – 4) il movimento nell’ambiente fisico: le caratteristiche di una stanza, dell’atrio di un hotel, di una sala d’aspetto, sono in grado di influenzare i comportamenti delle persone che in essi si trovano, come ad es. la presenza di una scultura facilita la conversazione. Altro importante aspetto della comunicazione non verbale è la postura, ossia il modo di stare in piedi, seduti o distesi; è adoperata in diversi sistemi di comunicazione: è innanzitutto collegata all’attività che si svolge; è adoperata secondo modalità convenzionali in particolari occasioni della vita lavorativa e sociale, puntualizza gli atteggiamenti interpersonali quali l’amicizia e l’ostilità, la superiorità e l’inferiorità che prevedono posture tra loro diverse; è infine un segnale di status: chi ricopre una carica importante siede eretto e in posizione centrale di fronte agli altri. Può essere rivelatrice dell’atteggiamento emotivo e può tradire l’ansia più dell’espressione del volto. Il contatto fisico costituisce una delle modalità più efficaci per esprimere emozioni; i toccamenti come espressione di un tentativo di comunicazione. Per quanto riguarda i gesti, forme di comunicazione non verbale sono rappresentate dagli emblemi che hanno una traduzione verbale diretta e sono emessi intenzionalmente. Tipici esempi di emblemi sono: scuotere la mano per salutare, fare il pugno … I gesti illustratori sono invece legati al discorso e ne sottolineano il contenuto; sono intenzionali, appresi socialmente attraverso l’imitazione in epoca prevalentemente infantile – adolescenziale. I gesti regolatori invece non sono sottoposti al rigido controllo razionale, ma risultano difficili da inibire e possono essere collocati alla periferia della consapevolezza. I più comuni sono: il cenno del capo, il mutamento di direzione e di intensità dello sguardo, i cambiamenti di posizione, l’aggrottarsi delle sopracciglia. I gesti inconsci adattatori o manipolatori sono tutti quei gesti che appresi per primi nell’infanzia, ricompaiono quasi casualmente nella mimica e nella gestica dell’adulto, quando qualcosa dell’ambiente attuale si collega ad una emozione, a una relazione o a quell’ambiente originariamente associato all’apprendimento di quei gesti adattatori. Pertanto non sono intesi a trasmettere intenzionalmente un messaggio e quindi di solito, vengono realizzati al di sotto della percezione cosciente. Sono distinguibili tre categorie: gli auto – adattatori che hanno a che fare con una parte del corpo che contatta l’altra, come ad es. asciugarsi le labbra con la lingua e con la mano (indica che la persona si sente abbastanza soddisfatta di qualcosa), asciugarsi gli angoli degli occhi con le mani (viene avvertito o anticipato un momento di tristezza), strapparsi le pellicine dal viso (indica che qualcosa che l’interlocutore sta dicendo si presenta in qualche modo impegnativo), strofinare o massaggiare il viso (indica una richiesta inconscia di carezza psicologica o rassicurazione), il tenersi la testa con la mano (necessità di autosupporto psicologico e\o richiesta di sostegno e aiuto a se stessi), il grattarsi la testa (può esprimere il fantasticare) …; gli alter – adattatori che riguardano il dare o il prendere da un’altra persona, i movimenti relativi all’attacco, e i movimenti relativi a richieste di affetto e di intimità. I cambiamenti della distanza spaziale (prossemica) vengono considerati come alter – adattatori. E in ultimo gli oggetto – adattatori: movimenti appresi più tardi durante lo sviluppo e possono essere espressi consapevolmente. Secondo alcuni autori, i gesti auto ed alter adattatori, una volta razionalizzati e quindi assunti con piena consapevolezza, potrebbero essere utilizzati consapevolmente allo scopo di comunicare subliminalmente e modificare così il comportamento dell’interlocutore in una ben specifica direzione predeterminata. Per quanto riguarda il viso e le manifestazioni dell’emozione, è importante sottolineare che è nel volto che si è individuato il primo luogo delle manifestazioni dell’emozione. Secondo diversi autori, nell’uomo le espressioni del volto, ci inviano tre diversi tipi di messaggi inerenti a: le caratteristiche della personalità, le emozioni, i segnali interattivi e i segnali collegati al discorso. Dopo avere illustrato le componenti della comunicazione non verbale, credo sia interessante conoscere come si esplicano le modalità linguistico comportamentali per un diretto accesso all’emisfero destro (emisfero emozionale), così come individuate da Mastronardi (1998). Innanzitutto si rende necessario precisare che nelle funzioni celebrali proprie dell’emisfero razionale, troviamo le seguenti funzioni: linguistiche (verbali), predisposizione per la ricezione dei ritmi rapidi e per la tensione, la concentrazione per l’analisi temporale (passato e futuro), per l’analisi spaziale, per tutto ciò che è logico grammaticale, concettualizzante; rappresenta una sorgente mentale razionale, astratta con accordo sul significato, consapevolezza con direttività, focalità, distacco, predisposizione per l’aritmetica, per il piacere della conoscenza e per il controllo. Viceversa l’emisfero emozionale è caratterizzato dalle seguenti funzioni: pantomimico, musicale (inclusa la musicalità del parlato o prosodia e quindi conseguente immediata capacità di percezione dell’umore e delle reali intenzioni altrui – ostili o non – attraverso l’analisi istintuale non razionalizzata dei gesti, dell’espressione facciale, nonché dei contorni melodici ed intonazionali della voce); altre funzioni ancora: cenestetico, non verbale, predisposizione per la ricezione dei ritmi lenti, per la confortevolezza ed il rilassamento, per la ricezione di tutto ciò che è sintetico temporale (presente qui e ora), sintetico spaziale (olistico), visuo-spaziale e per i colori, visualizzante; rappresenta una sorgente emozionale ed è intuitivo, letterale concreto con empatia, sintonia emozionale, partecipazione, spontaneità, attenzione diffusa, coinvolgimento, predisposizione per il geometrico, per il piacere dell’appartenenza emozionale e affettiva e per l’immediatezza. Nel plagio sembra fondamentale che la comunicazione del plagiatore sortisca gli effetti sull’emisfero emozionale della vittima. Per fare ciò, il plagiatore, usa metafore, frasi celebri, rime, alliterazioni: es. tra capo e collo, adagi: es. chi cavalca la tigre non può scendere, aforismi, doppi sensi, giochi di parole, sottintesi, battute e eufemismi. Essendo nell’emisfero destro presenti intere gestalt auditive, è facile intuire l’ampio uso di un preciso tipo di musica in base ai messaggi che si vogliono inviare. Anche il linguaggio figurato che crea visualizzazioni, immagini mentali incisive è molto adoperato, così come le espressioni linguistiche della grammatica universale: es. il linguaggio infantile e gli archetipi. Un altro modo per entrare in collegamento con la parte emozionale del cervello è l’affettivazione e la spontaneità del rapporto oltre a tutta la comunicazione non verbale intenzionalmente gestita dall’operatore. Risultati evidenti si ottengono anche con la riproduzione dei gesti di animali e l’applicazione delle tecniche di psicodramma.

Paragrafo 4. Tecniche di inizio e mantenimento

Dalla lettura del materiale in possesso, è emerso che tutti gli autori concordano nel riportare le medesime tecniche di inizio e mantenimento del plagio. Il bombardamento d’amore “love bombing” è forse la tecnica più usata e quella che ha gli effetti più durevoli. La vittima viene circondata d’amore e posta al centro dell’interesse del plagiatore, che la coccola e la riempie d’attenzioni. Segue poi l’isolamento della vittima che viene separata dalla sua famiglia, gli viene reso impossibile con ogni scusa (telefoni guasti, strade interrotte) il contatto con persone esterne. Si crea l’incapacità a verificare le informazioni che vengono fornite, rendendo accessibile un’unica realtà. Molto usata è la tecnica della ripetitività attraverso la quale, con varie scuse, si induce la vittima a ripetere ossessivamente le stesse parole, ad ascoltare la stessa musica, a svolgere di continuo un attività. In questo modo si induce artificialmente uno stato di alta suggestionabilità. Una tecnica spesso associata alla precedente è la privazione del sonno e viene incoraggiata motivandola come necessaria per non interrompere lo stato di concentrazione raggiunto. In questo modo si indebolisce il fisico, rendendo ancora più vulnerabile l’individuo. Allo stesso scopo si fornisce un alimentazione inadeguata a basso contenuto di proteine e ricca di zuccheri. Attraverso le tecniche sopra enunciate il plagiatore riesce ad esplicare quindi il controllo del comportamento che è ciò che regola la realtà fisica di un individuo, attraverso il controllo del contesto in cui una persona si trova, vale a dire dove abita, quali vestiti indossa, che cibo mangia, quanto dorme; come pure il suo lavoro, le abitudini e le altre attività. L’individualismo è disincentivato e tutti i comportamenti possono essere premiati o puniti. Chi plagia sa che non potrà mai controllare i pensieri di un individuo, ma sa anche perfettamente che nel determinarne il comportamento, riuscirà ad arrivare anche al cuore ed alla mente di quel soggetto. C’è da parte del plagiatore anche il tentativo di operare il controllo del pensiero; generalmente si effettua dividendo ogni cosa in “bianco o nero”, “noi o loro”. Tutto ciò che è buono si incarna nel plagiatore e tutto ciò che è cattivo nel mondo esterno. Egli si pone come in grado di potere esaudire tutte le domande, di rispondere a tutti i problemi e tutte le situazioni. Inoltre usa un proprio linguaggio che contempla parole ed espressioni tipiche; poiché il linguaggio fornisce i simboli che usiamo per pensare, controllare determinate parole significa anche controllare i pensieri. Vengono confusi i basilari meccanismi di difesa di una persona, con un addestramento specifico dei soggetti a bloccare e respingere qualsivoglia informazione critica, attraverso la negazione (non è vero che sta accadendo quanto dici), razionalizzazione (ciò accade per un motivo molto valido), giustificazione (ciò accade perché doveva accadere) e desiderio (mi piacerebbe fosse vero, per cui forse lo è). Il sistema maggiormente efficace al fine di stabilire un controllo mentale sulla vittima, è quello che prevede il blocco dei pensieri tramite rituali. Alle vittime viene insegnato come bloccare da soli i propri pensieri, dicendo loro che ciò li aiuterà a crescere e a diventare più efficienti. Così ogni qual volta la vittima viene colta da un “cattivo pensiero” mette in atto la tecnica del blocco del pensiero per eliminarne la “negatività” e concentrarsi su sé stesso, imparando così a chiudere al di fuori della porta qualsiasi cosa minacci la sua realtà. La tecnica di blocco del pensiero può consistere nel concentrarsi in preghiera, cantilenare ad alta voce o mentalmente, meditare, cantare o canticchiare; la vittima è condizionata ad attivarle al primo segnale di dubbio, ansia o incertezza ed è in tal modo che esse diventano azioni meccaniche. Il blocco del pensiero è il modo più diretto di mandare in tilt la capacità di una persona di verificare la realtà; di fatto se una persona pensa esclusivamente in maniera positiva riguardo al suo coinvolgimento, è senza dubbio intrappolato. Quando il pensiero viene controllato anche le emozioni e i comportamenti sono posti sotto controllo. Il controllo delle emozioni mira a controllare la sfera affettiva; sensi di colpa e paura sono gli strumenti impegnati per tenere le persone sotto controllo. Il senso di colpa è forse l’unica e più importante leva emozionale capace di indurre conformismo e accondiscendenza mentre la paura è sostanzialmente usata in due modi: il primo è la creazione di un nemico esterno che ti perseguita, il secondo è terrorizzare la vittima a fronte della possibilità di essere scoperto e punito da chi effettua il plagio. Per controllare qualcuno attraverso le sue emozioni e i suoi sentimenti è necessario procedere alla loro ridefinizione. Le persone sono sempre tenute in tensione, prima lodate o subito dopo insultate. Tale uso distorto delle tecniche di condizionamento – ricompensa e punizione – favorisce un sentimento di dipendenza e insicurezza. La confessione di peccati commessi nel passato o di comportamenti errati è anch’esso un potente mezzo per il controllo delle emozioni. Un espediente che può arrivare a trasformarsi in un vero e proprio ricatto è: qualsiasi cosa dirai potrà e sarà usata contro di te. La tecnica più potente per il controllo emozionale è l’induzione di fobie, nel senso di indurre nella vittima una vera e propria reazione di panico alla sola idea di abbandonare il plagiatore, minacciandola di trovarsi sola e sperduta, indifesa ed incapace a fronteggiare una realtà esterna. Essa quindi non ha alcuna reale possibilità di scegliere, dal momento che è stata condizionata ad avere paura fobica del mondo esterno; le fobie indotte eliminano a livello psicologico la libertà di scelta. In ultimo si descrive il controllo dell’informazione che si attua negando alla vittima l’accesso a informazioni di carattere critico e inoltre vengono a mancare quegli appropriati meccanismi interni che servono ad elaborarle. Tale controllo dell’informazione ha un impatto drammatico e devastante. Il controllo dell’informazione avviene a tutti i livelli relazionali. Il controllo del comportamento e del pensiero, delle emozioni e delle informazioni ha un grande potere ed influenza sulla mente umana. Insieme formano una rete totalizzante che può manipolare anche le persone più forti. Di fatto, sono proprio gli individui più forti a trasformarsi nelle vittime più devote e coinvolte. Chiunque voglia far credere conoscenze, sia egli ingannatore o sincero, per far sì che l’altro vi attribuisca un alto grado di certezza, dovrà operare sia a livello della certezza originaria, quella dipendente dalla fonte, che a quello della compatibilità, e sempre tenendo conto della propria rappresentazione della mente del destinatario. Partiamo dalla credibilità originaria: il primo strumento di chi vuol far credere è fornire prove empiriche, cioè evidenze percettive. Per convincerti che ho la febbre, ecco, senti come scotto. E se ti inganno e l’evidenza empirica non esiste, devo crearla, costruire un’ evidenza verosimile, cioè che simuli il più fedelmente possibile ciò che ti voglio far credere. Ovvio: un falso è tanto più credibile quanto più è fedele l’imitazione dell’originale. Un altro strumento della credibilità originaria è migliorare la valutazione sull’affidabilità della fonte. Un presupposto essenziale della maggior parte degli inganni e soprattutto del plagio, è il non – sospetto, la credulità e la fiducia della vittima. Per questo chi dà certe informazioni deve mostrarsi sicuro delle cose che dice, competente sull’argomento e non ingannatore, e se possibile far capire che non ha interessi particolari a far credere quella cosa. Certo, farsi ritenere affidabile ed attendibile richiede, in certi casi, un lavoro preventivo e a lungo termine. Il plagiatore deve conquistarsi la fiducia della vittima proprio perché dovrà tradirla. Un terzo strumento per aumentare la credibilità delle conoscenze fornite è fornire prove inferenziali, cioè altre conoscenze da cui quella che si vuol fare credere si può facilmente inferire. E questo si può fare o fornendo altre conoscenze, coerenti con quella, del tutto nuove per il destinatario, o richiamandogli alla memoria quelle che si suppone che lui già possieda. In un certo senso, dunque, il plagiatore deve agire da un lato sulla credibilità delle conoscenze, dall’altro sulla credulità della vittima: rendere “oggettivamente” convincenti le conoscenze (false) che gli fornisce, cioè renderle capaci di superare controlli anche severi da parte della vittima; e al tempo stesso far leva sulla sua disponibilità ad abbassare i controlli. L’una cosa il plagiatore l’ottiene con un inganno ben “architettato”, in cui tutto torna, tutti i pezzi si incastrano senza sbavature e contraddizioni. Ma l’altra cosa la ottiene facendo leva sulla fiducia che in lui ripone la vittima, e facendogli credere proprio ciò che quest’ultima vuol credere. I casi in cui abbassiamo i controlli, allentiamo le nostre difese cognitive, sono proprio quelli in cui ci fidiamo ciecamente di qualcuno, e quelli in cui ci dicono proprio quello che vogliamo sentirci dire. Sono entrambi i casi in cui le conoscenze sono determinate dagli scopi. Un’altra tecnica specifica della situazione di plagio è la Programmazione Neurolinguistica (PNL) – che secondo gli autori Dilts R., Grinder J., Bandler R., Bandler L.C., DeLozier J. (1982) – è lo studio delle componenti della percezione e del comportamento che rendono possibile la nostra esperienza. Con l’espressione Programmazione Neurolinguistica indicano quello che a loro giudizio è il procedimento fondamentale usato da tutti gli esseri umani per codificare, trasferire, guidare e modificare il comportamento. La PNL nasce negli anni settanta, quando constatarono di essere in possesso di un insieme di modelli di comunicazione di straordinaria forza ed efficacia. In origine li avevano elaborati per usarli nel contesto terapeutico, ma si accorsero presto che era possibile estenderli ad altri campi della comunicazione umana, specificatamente ai settori dell’industria e del commercio (vendite, trattative), alle attività legali, all’istruzione. La Programmazione Neurolinguistica è la disciplina che opera nell’ambito dell’esperienza soggettiva. Non si vincola ad alcuna teoria: ha invece lo status di un modello, di un insieme di procedimenti la cui misura di valore è l’utilità e non la verità. La PNL presenta strumenti specifici che possono essere vantaggiosamente applicati in ogni interazione umana, e offre tecniche specifiche con le quali il programmatore può vantaggiosamente organizzare o riorganizzare la propria esperienza soggettiva o le esperienze di un interlocutore per definire, e successivamente conseguire, qualsiasi risultato comportamentale. In merito alle modalità di colloquio proprie della Programmazione Neurolinguistica, gli stessi autori Bandler e Grinder (op. cit.): “il significato di qualsiasi evento dipende dal quadro entro il quale percepiamo l’evento stesso. Se ristrutturiamo il quadro, cambiamo il significato. E se il significato cambia, cambiano anche le reazioni e i comportamenti della persona”. La PNL insegna l’arte della ristrutturazione nell’ambito di un colloquio che può inizialmente anche presentarsi come del tutto normale nei comuni, quotidiani rapporti umani o terapeutici. Le procedure della PNL possono essere vantaggiosamente utilizzate sia per arricchire il modello impoverito del mondo nevrotico e limitato dell’interlocutore, che viceversa per impoverire volutamente le distorsioni del modello patologico di chi ascolta, esercitando così una vera e propria opera di filtraggio al setaccio delle idee patologiche e di evitamento delle resistenze al cambiamento dell’interlocutore stesso. Tre sono le caratteristiche principali della PNL: l’accento posto sulle capacità creative e organizzatrici della mente inconscia, ben distinta dall’inconscio psicoanalitico che viene pressoché completamente trascurato, sia come struttura che ha creato il problema psichico, che come struttura in grado di risolverlo; la descrizione minuziosa dei processi sensoriali tramite i quali l’individuo organizza al suo interno i dati della realtà esterna e li integra con quelli già esistenti, e delle strategie di decodificazione che influenzano i comportamenti emessi in risposta agli stimoli; l’organizzazione di un sistema di strategie psicoterapeutiche precise e puntuali basate sulla capacità tecnica del terapeuta di entrare in rapporto privilegiato con l’emisfero non dominante del paziente, piuttosto che con i suoi processi cognitivi, comportamentali o inconsci. Una volta stabilito questo tipo di contatto con il paziente, compito principale del programmatore neurolinguistico è quello di portare il paziente stesso ad una ristrutturazione funzionale delle sue strategie interne, in modo che possa raggiungere la meta terapeutica oggetto del contratto. A questo proposito si sottolinea come sia sempre il paziente a designare la meta da lui auspicata; non è infrequente infatti che il paziente esprima al terapeuta in PNL il suo problema con un nome convenzionale come un colore (ad esempio “voglio smettere rosso”). Le tecniche di Programmazione Neurolinguistica sono infatti tese a modificare i processi sensoriali dell’emisfero non dominante che organizzano e mantengono il problema psicologico e non a esaminare il contenuto specifico o la dinamica che ad esso sottende. Nell’intera gamma dei “procedimenti neurolinguistici” più significativi che determinano il crollo delle resistenze critiche e l’utilizzazione dell’emisfero razionale (emisfero sinistro nei non mancini) per finalità ristrutturanti, vi troviamo: il ricalco, la deformazione dei precedenti convincimenti o comportamenti attraverso la congiunzione e, ma, ossia, non .. , le generalizzazioni, la cancellazione di indici referenziali, le nominalizzazioni, le limitazioni selettive, le ambiguità, le domande incastrate, i comandi incastrati, i presupposti e i postulati di conversazione, l’affettivizzazione e/o la spontaneità del rapporto. Sono inoltre utilizzate le situazioni di dialogo che creano tensione, spingendo al dialogo interiore o creando una sorta di sovraccarico razionale censivo con conseguente necessità di ricercare distensione accontentando poi le richieste dell’interlocutore, la presenza di altre persone, il paradosso, il controparadosso e il doppio legame. Altri metodi usati sono le prescrizioni ad es. incoraggiando il comportamento negativo per finalità minimizzanti, il metodo della peggiore fantasia, l’illusione di alternative, la sottolineatura degli aspetti positivi e delle piccole risposte positive amplificando le sia pur piccole risposte positive dell’interlocutore. Gli autori menzionano anche l’uso nei dialoghi nello spazio e delle posizioni a sedere, la disseminazione dei concetti ponendo in risalto alcuni concetti all’inizio dell’incontro per riprenderlo poi di sfuggita un poco dopo e concluderlo definitivamente al termine dell’incontro. Importante è anche il controllo delle informazioni, gli approcci ironici ed umoristici in modo da attivare la disponibilità a un dialogo più sereno e disteso, la ricorniciatura in quanto se cambia la cornice cambia anche il significato e quando cambia il significato, cambiano anche le reazioni e i comportamenti della persona. Ulteriori modi che rappresentano delle tecniche tendenti a compromettere le reazioni emotive e la percezione della realtà sono così schematicamente indicati: X insiste ripetutamente su certi settori della personalità di Y dei quali questi è scarsamente conscio, settori che non sono in armonia con il tipo di persone che Y crede di essere; X stimola sessualmente Y in una situazione nella quale sarebbe disastroso per Y cercare una gratificazione sessuale; X espone Y a esperienze contemporanee di stimolo e frustrazione, o a esperienze di stimolo e frustrazione rapidamente alternatisi; X si pone in relazione con Y a livelli simultaneamente correlati (per esempio sessualmente ed intellettualmente); X scivola da una lunghezza d’onda emozionale a un’altra sempre nell’ambito di uno stesso argomento (trattando prima sul serio e poi scherzosamente lo stesso soggetto); X scivola da un argomento ad un altro conservando sempre la stesa lunghezza d’onda emozionale (per esempio una questione di vita e di morte è considerata alla stessa stregua dell’argomento più banale). Il linguaggio comunque non esaurisce le possibilità comunicative dell’uomo ma esistono altre tecniche per esprimere emozioni ed atteggiamenti fondamentali verso la vita, quali le arti visive, la musica ed il teatro. In particolare la musica è potente nella sua influenza, così che alle scienze del comportamento (psicologia, antropologia, sociologia e psichiatria) si è dovuto fare ricorso per studiare in modo interdisciplinare il comportamento umano connesso con la musica. L’influenza delle stimolazioni acustiche ambientali sull’uomo e sugli animali ed in particolare le modificazioni indotte dalla musica sulle strutture biologiche e fisiologiche dell’organismo, producono un maggiore afflusso di sangue nel cervello. Le stimolazioni acustiche influiscono anche sulla globalità del comportamento animale e umano sia cognitivo che emotivo. La musica è uno strumento per esprimere emozioni non direttamente traducibili in parole, rappresenterebbe ciò che è stato definito il linguaggio delle emozioni, in quanto più di ogni altra forma comunicativa è adatta alla espressione ed alla trasmissione delle esperienze interiori. L’influenza della musica sul respiro fa sì che questo diventi meno profondo all’inizio dell’audizione per poi tornare regolare sia come ritmo che come ampiezza. La musica conosciuta provoca un aumento della frequenza e dell’ampiezza respiratoria, mentre il ritmo diviene irregolare, il polso quasi sempre segue l’andamento del respiro. La musica produce anche effetti sull’apparato motorio, quando ad es. fa muovere le dita. Le risposte cardiovascolari e respiratorie dipendono anche dal tipo di musica. I suoni possono anche produrre immagini colorate (synaesthesia) nella mente di chi ascolta e inoltre possono produrre immagini di forme. Gli impieghi della musica nella pratica clinica sono molteplici. Attraverso il suono in ostetricia è stato possibile facilitare il parto indolore; la musica è stata usata come coadiuvante nei trattamenti anestetici e nelle terapie antalgiche; in Francia sono stati musicalizzati i gabinetti dentistici e sono state impiegate tecniche musicoterapeutiche associate a tecniche di rilassamento psicofisico. Risulta quindi evidente che ogni tipo di musica invia un messaggio, talvolta ansiogeno – tensivo, talvolta rilassante, ecc … e soprattutto favorisce l’emergere e\o il riemergere di immagini mentali, avvertite a livello razionale oppure altre volte soltanto inconsce che fluidificano al di sotto della percezione cosciente. L’utilizzo della musica è un azione subliminale e ad es. alcuni dischi sono stati studiati per creare le migliori condizioni sonore concilianti il sonno, suscitando un equilibrio progressivo delle funzioni organiche e quel disinteresse che si consta all’inizio del sonno, in modo da ricondizionarsi progressivamente ai riflessi del sonno e apportare quindi un nuovo equilibrio psichico agli ansiosi, agli eccitati e ai depressi. E’ per i motivi sopra elencati che un esperto plagiatore, molte volte inserisce nella sua tecnica di manipolazione anche l’uso ripetuto di certi tipi di musiche, in modo da condizionare ulteriormente la vittima.

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Laurea in Psicologia presso Università di Bologna, con tesi “Il plagio” Specializzazione in Psicoterapia presso C.I.S.S.P.A.T di Padova, scuola di specializzazione in psicoterapia dinamico breve, con tesi “Dal falso Sé al Vero Sé – Un percorso immaginativo” discussa con dott. Nevio del Longo Attività clinico/psicoterapeutica/psicodiagnostica Attualmente collabora con Medoc Srl di Forlì (società di Medicina del Lavoro) per: - progetti di promozione del benessere psicologico e empowerment ; - valutazioni dello stress lavoro correlato; - diagnosi psicologiche; - risoluzione di problematiche di singoli sia dovuti a cause lavorative che personali. In campo giuridico, effettuo consulenze specialistiche di parte.

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2 Commenti per “IL PLAGIO – Capitolo II”

  1. Simona Zanda ha detto:

    Complimenti vivissimi per la trattazione dell'argomento…


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