categoria | Famiglia e Minori, Tesi, Vittimologia

Una realtà “vicina” e duratura: il progetto Mimì a Salò di Michela Tosi

Inserito il 08 settembre 2013 da Maria Rosa DOMINICI

Progetto_mimiRingrazio vivamente la dott.ssa Michela Tosi,che si è laureata discutendo la tesi “Avvicinarsi all’infanzia partendo dalle proprie radici:premesse e realtà per una prevenzione scolastica del maltrattamento e dell’abuso sui minori “nell’A.A.2012/2013  all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia ,nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria.

La dott.ssa Tosi si mise in contatto con me durante la preparazione della tesi,in quanto  facendo ricerche sull’argomento da trattare aveva trovato in internet il mio nome legato al “Progetto Mimi’ fiore di cactus”.Sentito l’entusiasmo e le motivazioni della Tosi ,la invitai a partecipare ad un mio seminario che si teneva da li a poco a Salò,avendo anticipatamente chiesto il permesso alla Direzione Didattica,alle insegnanti che diedero la lro disponibilità ,e di cui in questo sito è già stato pubblicato  parte del pregevole lavoro che hanno realizzato con gli alunni nei lunghi anni di formazione.Cosi’ avvenne,assistette ,al seminario ,a come si lavorava con l’ausilio del testo Mimi’,(la cui pubblicazione,diffusione e merito va  a Terre des Hommes),con l’elaborazione cartacea,disegni e scritti prodotti dagli scolari  di IV° e di V° che vi partecipavano, il che permetteva alle insegnanti di cogliere le emozioni e sensazioni che esistevano nei bambini,sull’argomento cosi delicato.

I capitoli che seguono  sono estrapolati dalla tesi  di Michela Tosi, e raccontano di quegli incontri, tutta la tesi sarà scaricabile inoltre dal link segnalato.Questo lavoro oltre a dare una grande motivazione alla ricerca,che mi auguro prosegua,sancisce l’interesse pionieristico che Terre des Hommes,il MIUR e la Regione Lombardia  ebbero.

Grazie ,cercando su internet troverete altro materiale legato ai progetti Mimi'(I disegni dei bambini di Salò ,ecc.) e al mio Progetto Psicantropos nato nel 1996.

Maria Rosa Dominici

3.4.2. Una realtà “vicina” e duratura: il progetto Mimì a Salò.

Il progetto di sperimentazione didattica, denominato “Mimì Fiore di Cactus. Chi mi stuzzica, si pizzica” è nato nel 2001 dalla collaborazione tra l’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia del Ministero dell’Istruzione (MIUR) e la Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale della Regione Lombardia.

Il progetto comprendeva una prima fase formativa rivolta agli insegnati della scuola primaria e agli operatori dei servizi socio-assistenziali, ovvero ai soggetti che istituzionalmente hanno compiti di tutela del benessere dei minori, con l’obiettivo di fornire loro informazioni sul tema dell’abuso e del maltrattamento; sui segnali per riuscire a rilevare la presenza eventuale di tale fenomeno; sugli strumenti di tutela da porre in atto per fornire l’aiuto necessario al minore sofferente. Una seconda fase consisteva invece, in attività didattiche condotte nelle classi quarte e quinte (solo successivamente è stato esteso anche alle classi terze), delle scuole primarie della Lombardia, con l’ausilio del libretto a fumetti “Mimì fiore di cactus e il suo porcospino: chi mi stuzzica si pizzica”. Il fumetto è stato realizzato da un gruppo di ricercatori e studiosi per aiutare insegnanti e bambini a parlare e discutere con naturalezza e anche con un velo di ironia su un tema particolarmente delicato, al punto che spesso si preferisce evitarlo piuttosto che affrontarlo.

L’iniziativa comprendeva un percorso di formazione in cinque giornate, seguito da attività didattiche condotte in classe servendosi dell’aiuto del libretto a fumetti, che proponendo un esempio di complicità tra la protagonista e la sua controfigura interna, rappresentata dal porcospino, ha permesso agli insegnanti di condurre l’attenzione degli alunni sui loro diritti, sull’opportunità di riflettere, valutare e scegliere senza paura a chi chiedere aiuto in caso di bisogno o di molestie.

Ci sono state due edizioni dell’esperienza, la prima93 si è svolta durante l’anno scolastico 2000/2001; la seconda si è svolta nell’anno scolastico 2003/2004, raggiungendo una platea raddoppiata di docenti e alunni.

In provincia di Brescia, precisamente presso l’Istituto Comprensivo Statale di Salò nella scuola primaria, il progetto “Mimì” è realizzato da ben dodici anni da quando ebbe inizio ufficialmente nell’anno scolastico 2000/2001.

Si può comprendere quindi l’importanza e la rarità di questa iniziativa, che nel corso degli anni ha coinvolto un numero molto elevato di minori.

Il progetto ha dunque avuto una costanza che risulta indispensabile per un’autentica pratica preventiva.

Spesso, infatti, gli interventi di questo tipo sono incentivati solo per periodi di tempi determinati e relativamente brevi, non riuscendo così a rappresentare una costatante all’interno dell’attività scolastica.

A Salò è Maria Rosa Dominici che dirige la realizzazione del progetto “Mimì” e si occupa della fase di formazione degli insegnanti.

Spetta ai docenti, appunto, il compito di trasmettere ai bambini, con il supporto del libretto, le tecniche di autoefficacia e di autodeterminazione, la capacità di farsi rispettare e il loro diritto a dire di no.

Gli insegnati prendono spunto soprattutto dall’esperienza del gruppo classe per avviare l’intervento di prevenzione. Questa abilità gli consente di introdurre tematiche complesse, come l’abuso sessuale, con una certa naturalezza, senza turbare i bambini ma anzi invogliandoli a partecipare direttamente e ad esprimersi. Un’ insegnante, infatti, a questo proposito afferma:

“Nella mia personale esperienza non ho incontrato particolari ostacoli con i bambini che, in genere, si dimostrano sempre molto aperti ed entusiasti, vivendo questa attività come un’opportunità (che molti in famiglia non hanno o non avranno mai!) di confrontarsi liberamente, senza inibizioni, nel gruppo dei pari, su problemi e curiosità che fanno parte del loro mondo. Anche quelli più timidi e restii, ho sempre osservato che, una volta “aperta la via” dai compagni più disinvolti, sono disponibili e contenti di raccontare e raccontarsi. I bambini sono sempre molto attratti da argomenti che riguardano la loro soggettività, il loro diritto di scegliere, di dire NO a ciò che li fa sentire a disagio. Pertanto è molto difficile che si chiudano di fronte all’assunzione di consapevolezza dei loro diritti di bambini”.

Testimoniando dunque come nella realtà i bambini sono entusiasti di poter mettere in parola ed elaborare, con l’aiuto di un adulto: dubbi, paure, ansie, desideri e curiosità legati a tematiche importanti come la sessualità e la consapevolezza di sé e del proprio corpo.

Sull’efficacia dei progetti di prevenzione primaria, e in particolar modo del progetto “Mimì”, nella tutela del minore da eventi traumatici, Maria Rosa Dominici si dice profondamente convinta “e con dati di fatto, vedasi i casi emersi e risolti nelle varie scuole in cui ho fatto formazione”. Spesso, infatti, l’attività di prevenzione proprio perché si avvicina alla comprensione della sofferenza dei minori, può porre il bambino nelle condizioni di comunicare verità pesanti e di spezzare situazioni di oppressione, di silenzio e di solitudine.

Nella scuola primaria di Salò il materiale prodotto durante la realizzazione del progetto viene successivamente analizzato e elaborato da esperti. In questo modo, gli insegnati sono supportati ulteriormente nella comprensione dei segnali di malessere degli alunni. “Sentirsi – afferma un’insegnante – inoltre supportato da esperti che seguono, “leggono”, elaborano i risultati del lavoro svolto con i bambini, dà la tranquillità di sapere che tu non hai preso abbagli o, al contrario, non ti siano sfuggiti segnali importanti”.

Non è sempre facile però riuscire a trovare le parole adatte per comunicare agli allievi messaggi così importanti per la loro tutela, soprattutto quando gli adulti che maltrattano e abusano risiedono all’interno della cerchia famigliare e sono quindi persone che rivestono un ruolo importante per il bambino e hanno con lui un legame affettivo.

Il problema, dunque, di come aiutare i minori a proteggersi anche della persone amate, senza minare però la fiducia nel mondo adulto necessaria per la loro crescita, è centrale per qualsiasi forma di prevenzione primaria dall’abuso sessuale.

L’intervento di Maria Rosa Dominici, la quale delinea gli aspetti principali da sviluppare nei bambini per proteggerli anche da queste forme di abuso, ci aiuta a individuare una strada d’intervento possibile per questo tema: “Rendendoli capaci di fiducia nel comunicare ciò che sta loro accadendo, che non è colpa loro, che non devono vergognarsi, che non sono obbligati al segreto, che la loro età non gli consente di consentire per cui stanno subendo una violenza, è un reato grave e hanno il diritto dovere di denunciare”.

È importante, inoltre, essere sempre consapevoli dell’importanza di continuare a lavorare per garantire una tutela sempre maggiore a tutti i bambini indifesi.

Allegato n. 2: “Intervista a Maria Rosa Dominici”

1. I: Le resistenze degli insegnanti, e non solo, alla segnalazione/denuncia all’autorità giudiziaria nei casi di sospetto abuso sono ancora molto estese e radicate. Quali difficoltà o paure fanno si che gli insegnanti non adempiano ad un dovere così fondamentale per la tutela del minore?

M.R.D.: Temono ritorsioni sul posto di lavoro, molto spesso i dirigenti non vogliono scandali nelle loro scuole, optano per il negazionismo e spesso emarginano l’insegnante. Altro timore è legato al doversi esporre in ambito sociale e giuridico, poche hanno il coraggio dell’assunzione di responsabilità.

2. I: La scuola è un osservatorio privilegiato della condizione del bambino, dunque riveste un ruolo primario nella prevenzione del disagio e del maltrattamento all’infanzia. Quali sono le competenze necessarie affinché un insegnante diventi capace di decodificare i segnali di disagio degli allievi, prima che la loro situazione di sofferenza degeneri?

M.R.D.: La formazione come posso citare il progetto Mimi e il mio stesso progetto Psicantropos, in cui si affronta direttamente con forme di linguaggio verbale e non verbale, l’argomento, inoltre molto importante è l’apprendimento dell’approccio psicosomatico, in quanto il corpo rivela nei gesti e nei comportamenti molto di più di quanto il pudore permetta.

3. I: La prevenzione primaria degli abusi sessuali in ambito scolastico è un tema delicato e complesso anche perché relativamente nuovo. Lei crede che in quest’ambito la realizzazione di progetti specifici possa essere davvero efficace al fine di tutelare il minore da eventi traumatici?

M.R.D.: Ne sono profondamente convinta e con dati di fatto, vedasi i casi emersi e risolti nelle varie scuole in cui ho fatto formazione, con il progetto Psicantropos e con il progetto Mimì.

4. I: Quali possono essere i limiti dei vari progetti che mirano a sviluppare nei bambini la capacità di farsi rispettare e di fidarsi delle loro sensazioni per migliorare la tutela di sé e il loro diritto a dire di no?

M.R.D.: Non ce ne sono se trovano un ambiente tutelante e sereno, i bambini sono in grado di apprendere tutto specie se fatto su un doppio binario psichico e fisico.

5. I: Spesso si crede che parlare ai bambini di realtà concrete ma orribili, come l’esistenza dei pedofili, possa turbare la loro innocenza. Quanto può essere utile, secondo lei, avvicinare i bambini in modo adeguato alla consapevolezza di vivere in una realtà che spesso non è “ a misura di bambino”?

M.R.D.: E’ primario, può salvare il loro futuro, impedendo vittimizzazioni che creerebbero uno stigma perenne.

6. I: È risaputo che l’abuso sessuale è un fenomeno soprattutto intrafamiliare, che si svolge dunque all’interno di quell’ambiente in cui i bambini dovrebbero essere più protetti e al sicuro. Come si può aiutare i bambini a proteggersi anche dalle persone amate, senza minare la fiducia nel mondo adulto necessaria per la loro crescita?

M.R.D.: Rendendoli capaci di fiducia nel comunicare ciò che sta loro accadendo, che non è colpa loro, che non devono vergognarsi, che non sono obbligati al segreto, che la loro età non gli consente di consentire per cui stanno subendo una violenza, è un reato grave e hanno il diritto dovere di denunciare.

Allegato n. 3: “Intervista a due insegnanti della scuola primaria dell’Istituto Comprensivo Statale di Salò”.

1. I: L’abuso sessuale è un fenomeno che crea dolore e indignazione e anche per questo si tende ad allontanarlo dalla mente piuttosto che pensare ad esso come ad una realtà vicina. Quali sono secondo lei le difficoltà che spingono gli adulti responsabili dei minori a non vedere i possibili segnali di sospetto abuso?

M1: Nella mia esperienza di insegnante ho avuto modo di vedere adulti, sia colleghi sia genitori, porsi in situazione di “cecità” nei confronti dei fenomeni di abuso/maltrattamenti dei minori. Gli uni per il timore di dover affrontare un argomento così delicato senza essere attrezzati psicologicamente per poterlo fare, oppure semplicemente per evitare quei “fastidi” che, in caso di evidenti problematiche, richiedono contatti con le famiglie, la dirigenza, i servizi sociali, ecc. Gli altri, le famiglie, per la “vergogna” di dover ammettere problematiche di questo tipo, affrontare quello che, ancora per molti adulti, è un tabù di cui si può parlare quando riguarda altri, lontani da noi, mai se invece solo sfiora o addirittura colpisce la propria sfera famigliare o di conoscenza.

M2: Gli adulti responsabili, secondo me, hanno difficoltà a riconoscere i possibili segnali di un abuso su di un minore per vari motivi:

– è un fatto talmente grave che ricade su di un essere indifeso, come un bambino e la mente di alcune persone non riesce nemmeno a concepirlo, di conseguenza lo rifiuta e lo nega, trovando delle scuse banali per giustificare i segnali;

– nella nostra società regna l’indifferenza; siamo tanto presi a pensare a noi stessi, ai nostri problemi, che non ci accorgiamo degli altri e delle loro difficoltà, anche gravi.

2. I: Secondo lei quali sono le competenze necessarie affinché un insegnante sia in grado di cogliere i segnali di disagio e di maltrattamento degli allievi?

M1: Innanzi tutto ritengo sia indispensabile la disponibilità e l’apertura mentale a “voler vedere” l’esistenza del problema. Saper poi cogliere alcuni segnali che a volte i bambini ci mandano per manifestare il loro disagio (disegni, uso di alcuni colori, atteggiamenti di solitudine o al contrario di aggressività, la mancanza di autostima, ecc.). La disponibilità a non chiudersi di fronte a quelle domande e curiosità “scomode” che i bambini a volte pongono, dimostrandosi invece sempre pronti a dare risposte chiare e semplici, in modo tranquillo e sereno. Guai se i nostri alunni ci percepiscono in imbarazzo o refrattari a dare loro risposte!

M2: Le competenze necessarie ad un insegnante per cogliere dei segnali di disagio o di maltrattamento degli allievi, vanno oltre la preparazione professionale di un educatore. Egli deve possedere una spiccata sensibilità di animo nell’ascoltare gli altri e nel cogliere quei messaggi, che vanno oltre la comunicazione verbale e che si fa molta fatica a riconoscere. L’insegnante deve possedere e sviluppare nel tempo una grande capacità di ascolto, perché il bambino manifesta in molti modi il suo disagio, siamo noi adulti che spesso siamo “cechi” o “sordi” nel riconoscerlo.

3. I: Gli insegnanti spesso sono lasciati soli di fronte al disagio e al maltrattamento dei bambini, senza adeguati supporti e collegamenti con le strutture amministrative e sociali del territorio. In questo clima quanto creda possa incidere la solitudine dell’insegnante, che è soprattutto emotiva104, nella mancata rivelazione e segnalazione del disagio e della sofferenza degli allievi?

4. I: Crede possa essere utile per un insegnante non essere solo e trovare nel gruppo una risorsa necessaria per confrontarsi, condividere ed esprimere liberamente le proprie emozioni per poter pensare insieme al difficile compito di tutela degli allievi?

M1: Per un’insegnante sentirsi innanzi tutto preparato, con un minimo di conoscenza del problema e di come, anche giuridicamente, affrontarlo, non è importante, è importantissimo! Sentirsi inoltre supportato da esperti che seguono, “leggono”, elaborano i risultati del lavoro svolto con i bambini, dà la tranquillità di sapere che tu non hai preso abbagli o, al contrario, non ti siano sfuggiti segnali importanti. Se poi esiste un gruppo che opera sullo stesso argomento, il confronto e il sostegno reciproco servono ad attenuare ansie, dubbi e preoccupazioni che inevitabilmente affiorano durante il percorso. Il supporto tecnico-scientifico e competente è indispensabile non solo per dare serenità agli insegnanti, ma anche per dare loro

104 La solitudine emotiva consiste nell’incapacità di sentire e di esprimere il proprio disagio emotivo e i propri bisogni di aiuto di fronte ai problemi che si accumulano nello svolgimento dell’attività professionale. La solitudine emotiva produce una difficoltà di contatto con la soggettività propria e altrui, con la vita emotiva propria e altrui, diventando così una delle principali cause di “cecità” e di “sordità” degli insegnanti di fronte al disagio e alla sofferenza degli allievi. quegli strumenti necessari ad affrontare in seguito il problema (es. colloqui famiglia) che deve essere risolto.

M2: Sicuramente nel gruppo, dove un insegnante può confrontarsi, condividere ed esprimere le proprie emozioni, può affrontare il difficile compito di tutela degli allievi, sviluppando nel team delle strategie comuni e dei percorsi da seguire per poter far emergere negli alunni una problematica così pesante e impossibile da gestire per un bambino.

5. I: Sono state molte le difficoltà incontrate nella realizzazione in classe del progetto “Mimì fiore di cactus”? Se si quali sono state per lei quelle più difficili da superare?

6. I: In base alla sua esperienza, quali sono le reazioni dei bambini quando si affrontano tematiche importanti come la capacità di farsi rispettare e il proprio diritto di dire no?

M1: Nella mia personale esperienza non ho incontrato particolari ostacoli con i bambini che, in genere, si dimostrano sempre molto aperti ed entusiasti, vivendo questa attività come un’opportunità (che molti in famiglia non hanno o non avranno mai!) di confrontarsi liberamente, senza inibizioni, nel gruppo dei pari, su problemi e curiosità che fanno parte del loro mondo. Anche quelli più timidi e restii, ho sempre osservato che, una volta “aperta la via” dai compagni più disinvolti, sono disponibili e contenti di raccontare e raccontarsi. I bambini sono sempre molto attratti da argomenti che riguardano la loro soggettività, il loro diritto di scegliere, di dire NO a ciò che li fa sentire a disagio. Pertanto è molto difficile che si chiudano di fronte all’assunzione di consapevolezza dei loro diritti di bambini. È invece più possibile che, di fronte a questa assunzione di consapevolezza, siano proprio gli adulti a sentirsi a disagio!

M2: Il bambino fa fatica a riconoscere il proprio diritto a dire di NO, in quanto ha passato la sua vita a soddisfare le aspettative degli adulti e ha vissuto in loro funzione. Inoltre manca nel bambino la capacità critica, cioè la capacità di vedere un’azione da vari punti di vista e la paura di essere giudicato come colpevole, senza essere in grado di capire che non ha fatto nulla e quindi non può essere condannato.

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Maria Rosa DOMINICI

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psicologa,psicoterapeuta vittimologa,membro dell'Accademia Teatina delle Scienze,della New York Academy ofSciences,dell'International Ass. of Juvenile and Family Court Magistrates,della Società Italiana di Vittimologia,della W.S.V.,dell'Ass.internazionale di Studi Medico Psico Religiosi.,docente di seminari di sessuologia, criminologia e vittimologia in università Italiane e straniere,esperta per progetti Daphne su tratta di minori e sfruttamento sessuale,creatrice del progetto Psicantropos,autrice di varie pubblicazioni,si occupa di minori e reati ad essi connessi da 40 anni.

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