categoria | Ambientale, Diritti umani, Teatro

Dei delitti e delle scene,giornata di studio su teatro carcere.Passione e volontà,testimonianza di Maria Rosa Dominici

Inserito il 29 novembre 2022 da Maria Rosa DOMINICI

VI CHIEDERETE IL PERCHè DI QUESTO ARTICOLO IN QUESTO SITO,RIVOLTO PER LO PIU’ AI DIRITTI E DOVERI VERSO L’INFANZIA TRADITA O NEGATA O DEPRIVATA….EBBENE LA MIA UTOPIA,SOGNO,BISOGNO,DESIDERIO,VISTO CHE NELLE CARCERI  SONO DETENUTI PADRI,MADRI E FIGLI ANCHE BAMBINI,PERCHE’ NON FARLI PARTECIPARE A QUESTA ESPERIENZA RESILIENTE E LIBERATORIA ,NELLA PARVENZA TEATRALE…LA PARVENZA E L’ESPERIENZA DI UNA FUTURA,POSSIBILE,AUSPICABILE REALTA’ FUORI….e cosi incomincio con  la mia sabbia…

“Bisogna mettere della sabbia negli ingranaggi del preconcetto” cosi dice Paolo Billi,ossia blocchiamo i preconcetti

Con rigore riporto la definizione di tale termine tratta dal vocabolario

concepito prima; si dice soprattutto di idee o giudizî formulati in modo irrazionale, sulla base di prevenzioni, di convinzioni ideologiche, di sentimenti istintivi, spesso per partito preso e senza una esperienza personale”e allora parto da un mea culpa ed esperienza personale.
Era il 1998, ed ero  da poco giudice onorario al T.M di Bologna,partecipai sin da subito a tutte le rappresentazioni teatrali che Billi metteva in scena con i ragazzi dell’I.P.M
Ricordo la prima volta, l’intensità delle emozioni e dei sentimenti che quell’esperienza  mi diede,l’ammirazione e lo sconcerto di vedere sulla scena anche ragazze di fuori cosi come parte del pubblico cittadino e la frase che mi usci spontanea “come potrò giudicare domani mattina,in aula nel GUP,questi ragazzi,che qui e ora mi hanno commosso ,che vorrei abbracciare”,già allora convinta di quella che è diventata la mia frase codice”piu’ teatro meno carcere”tanto mi avevano dato,tanto avevo ricevuto,tanto scoprivo in loro oltre ciò che avevo semplicemente,seppur attentamente letto nei loro dossier.
In effetti il rigore del ruolo in aula mi permise l’obiettività,come dice Palma Mercurio”tutti dobbiamo restare legati al ruolo,ci permette di contenere le nostre fragilità” e fu cosi che capii la grande resilienza che permetteva e favoriva il teatro e la città/cittadinanza entrando in carcere,cosi come il carcere uscendo in città,a ben pensare siamo tutti detenuti,ognuno di noi ha un dentro ed un fuori,ha una colpa e un perdono ,anche se l’espiazione o l’assoluzione non estinguono la pena,ossia il dolore perchè non si cancella il ricordo,la memoria,ma da essa si riparte,rinnovati dalla forza di aver recitato e scritto e interpretato il proprio sogno comprendendo la propria colpa,traendone l’opportunità del cambiamento,ogni crisi offre possibilità e occasioni di crescita,sperimenti l’umiltà che crea dignità e autostima.
.Cè un altra mia frase codice che mi rieccheggia in questa esperienza da dentro il ruolo e da fuori il ruolo”lui /lei è come me e io sono come lui/lei “ne sono sempre stata convinta.
Nel teatro vi è l’universo,il rito,il simbolo,la metafora,la metamorfosi e se sulla scena può accadere tutto ciò ,posso gestire l’estetica e l’etica  anche nella realtà, teatro-carcere come scuola di libertà.In questo quarto di secolo che mi ha visto coinvolta ho visto il modificarsi positivo anche di un lessico,il linguaggio comportamentale e psicosomatico,la reciprocità da giano bifronte della vittima e del colpevole,un lessico di speranza dalla parabola del Figliol Prodigo di Pontremoli e Bologna,all’Agnus Dei del 16 dicembre della Casa Circondariale di Ferrara….QUASI UN LESSICO EVANGELICO,
Daltronde le prime recite SI FACEVANO DENTRO,NELLA CHIESA DEL CARCERE,QUI A BOLOGNA,POI SIAMO ARRIVATI AL  FUORI,NELPERCORSO ITINERANTE FRA LE CHIESE DI PONTREMOLI E DI BOLOGNA,E IL SACRO E PROFANO COESISTONO IN UN RICONOSCERE UMILTA’ E DIGNITA’,COSI CHE IL CARCERE NON SARà PIU’ IL LUOGO DELLE PERSONE NASCOSTE MA IL LUOGO DELLA CONSAPEVOLEZZA X OGNUNO DI NOI,DA CUI RIPARTIRE NELLA PROGETTUALITA’ /SPERANZA DI VITA.
QUALCUNO HA DETTO A PROPOSITO DELLA REALTA’ CHE CI CIRCONDA,andiamo”A VEDERE A VEDERE QUANTA SOLITUDINE E ANGOSCIA SI NASCONDONO ANCHE NEGLI ANGOLI DIMENTICATI.BISOGNA ANDARE AGLI ANGOLI DELLE CITTA’,QUESTI ANGOLI NASCOSTI,OSCURI:LI SI VEDE TANTA MISERIA E TANTO DOLORE E TANTA POVERTA’ SCARTATA…ACCENDIAMO LE LUCI DELLA SPERANZA” (POSSONO DIVENTARLE ANCHE LE LUCI DI UN PALCOSCENICO,NEL MOSTRARSI SULLA SCENA C’E UN DIRSI E UN DARSI E IN RECIPROCITA’ CI SI ACCOGLIE
.Vedo l’entusiasmo attorno a me,sento il cuore intenso e palpitante di spinta vitale di tuttiin tutte le fasi del percorso che guarda avanti,che è consapevole del bisogno di una formazione di operatori di teatro carcere e Patascuola ha risposto a questo,mi piace far vivere,far interpretare,far sentire ai miei allievi ,il doppio ruolo di vittima e agressore,formandoli ad un esperienziale di  psiche e soma,l’individuo è sentimento,e corpo,è emozione e sensazione e se li conosci sai padroneggiare resti nei limiti e previeni i rischi,c’è qualcosa che sa di lessico evangelico in questa evoluzione epocale del concetto detentivo,restituire la libertà e la speranza,reinserire in una giusta umanità l’umanità,ricordo le parole di un omicida,con cui passai 9 mesi  nel carcere di Bolzano,come perito nel dover valutare la pericolosità sociale in vista della rimissione in libertà,”in questi luoghi anche le guardie poi possono diventare cattivi come noi,manca il respiro e il sogno,tutto e grigio e guardi il muro che non ti risponde,siamo tutti prigionieri nello stesso modo”…Ecco il teatro carcere ti risponde,ti da respiro e ritrovi l’entusiasmo…il dio in te,grazie Billi,grazie a tutti voi,noi che siamo in questa magnifica arca di noe’,siamo anche nel lessico biblico,ho detto a Billi dammi le tue tavole di mosè,che qui pubblico,grata a tutti gli attori,autori di questa magnifica giornata di studio.mi piace inserire poi alcune tesi ed articoli pubblicati in questo sito –
Qualcuno dice
“impegnamoci con coraggio per la giustizia,,la legalità,la pace,stando sempre a fianco dei piu’ deboli.Non scappiamo per difenderci dalla storia,ma lottiamo per dare a questa storia che noi stiamo vivendo un volto diverso”.
,

L’ESPERIENZA DEL TEATRO TRA IL CARCERE IN CITTA’ E LA CITTA’ IN CARCERE.

 

 

Le presenti riflessioni costituiscono un percorso di pensiero, componendo diversi contributi dei registi del Coordinamento (Stefano Tè, Marco Luciano, Sabina Spazzoli, Eugenio Sideri, Cecilia Di Donato, Vincenzo Picone e Paolo Billi, il sottoscritto).

Non sono proprio le tesi da inchiodare alla porta della chiesa del castello di WITTEMBERG, ma possono costituire un primo “Manifesto del Teatro Carcere che si Manifesta”

 

 

 

PROLOGO RIFERITO AL TITOLO DELL’INTERVENTO

Il teatro ponte tra Carcere e Città e tra Città e Carcere.

Fare teatro in carcere è un privilegio!

L’uomo di teatro in carcere è “pontifex”! Ricordo che il pontifex costruiva originariamente ponti, in seguito l’arte di collegare si trasformò in una sapienza, la sapienza del garante e custode di una ortodossia (nel mondo latino quella giuridica).

Costruire ponti è un atto che rivoluziona, spesso muta in profondità un esistente mettendolo in contatto con l’altro; ricompone esistenti diversi in un nuovo quadro.

Vorrei che il teatro carcere possa contribuire all’affermarsi di un nuovo paradigma, (quindi esser rivoluzionario), parlo del paradigma della giustizia riparativa che ( quando non è dato a sapersi !) subentrerà alla giustizia retributiva.

Nell’ottica della giustizia riparativa, guardo al teatro in carcere come costruzione di ponti dentro al carcere stesso, tra le persone recluse partecipanti e tra chi in carcere lavora.

Il teatro carcere costruisce ponti tra la città e il carcere; non si accontenta di precarie episodiche passerelle da allestire e smontare, quando si aprono le porte per accogliere gli spettatori, spesso in numero limitato.

Il teatro carcere costruisce ponti anche tra il carcere e la città: il carcere entra nella città portando nei teatri, nelle piazze e nelle chiese quanto si realizza tra le cinte murarie.

E, non ultimo, il teatro carcere costruisce ponti dentro la comunità sociale, perché il carcere riguarda la comunità tutta, il teatro carcere è una delle forme più alte di teatro civile.

Insomma fare ponti offre la possibilità, nella condizione della reclusione, di non chiudersi in se stessi, di non perdere autonomia e stima, perché il “buttar le chiavi” è un desiderio frequente del mondo dei liberi e insieme una subdola tentazione nel mondo dei reclusi.

 

 

 

 

 

PRIMA

Sul perché il carcere ci riguarda

Facciamo teatro in carcere perché il carcere ci riguarda.

Ci riguarda nella sua complessità.

Come luogo, come istituzione, perché dentro alle carceri ci sono uomini e donne per i quali il teatro è indispensabile.

Il carcere ci riguarda così come ci riguarda la scuola, come ci riguardano le strade, le piazze, le università.

Il carcere ci piaccia o no è un pezzo della nostra società, del nostro tessuto civile, confitto nelle nostre città, lo sosteniamo con le nostre tasse, e allora tanto vale occuparcene e non trattarlo come un castello dove vivono i cattivi, un luogo dove non metteremo mai piede.

Prendiamocene cura, noi con il teatro intraprendiamo azioni per trasformarlo.

 

SECONDA

I “Perché”  di teatro in carcere

Facciamo teatro in carcere perché è una grande possibilità di comunicazione che lo spazio chiuso del carcere, paradossalmente, amplifica.

Facciamo teatro in carcere perché è un esercizio di pazienza, per evitare l’alienazione, ma anche per stimolare la nostra capacità di stupore.

Facciamo teatro in carcere per uscire dalle celle, le loro, le nostre.

Facciamo teatro in carcere perché in teatro, come nella vita, ci vogliono disciplina, regole e rispetto reciproco.

Facciamo teatro in carcere come esercizio di forza e resistenza per i detenuti, ma anche per noi stessi.

Facciamo teatro in carcere perché ad ogni inizio ad ogni nuovo gruppo che si forma si scoprono nuovi motivi per fare teatro in carcere.

 

TERZA

Affinché il teatro possa esser riconosciuto nel percorso del reinserimento del detenuto nella società.

Continuo a entrare in Carcere, insieme ai miei compagni, perché credo che il Teatro debba creare dei presidi stabili, certi, identificabili, proprio nei luoghi che del Teatro, inteso come pratica, sono privi. Cambiano i direttori, il personale, spesso i detenuti, ma noi continuiamo a essere presenti. In quanto artisti siamo chiamati a fare qualcosa in relazione agli altri, anche se poi ciascuno interpreta questa vocazione in modi molto differenti.

Non possiamo continuare a considerare il carcere come luogo della negatività, ma al contrario dobbiamo accettarlo e creare al suo interno occasioni di costruzione per le quali il carcere sparisce e diventa parte della drammaturgia complessiva. Così arriveremo forse un giorno a considerare il Teatro parte del percorso di reinserimento del detenuto nella società.

 

 

 

QUARTA

Affinché il teatro-carcere sia sabbia nei meccanismi dei pregiudizi.

Fare teatro in carcere è un gesto politico di impegno civile, per contrastare il formarsi e lo svilupparsi del pregiudizio, più precisamente: teatro-carcere è metter sabbia nei meccanismi dei pregiudizi, per far emergere le contraddizioni, le fragilità e le comodità di praticare i pregiudizi sia verso le persone private della libertà, sia, d’altra parte, verso il mondo dei liberi. Tutto questo avviene attraverso la creazione artistica, utilizzando la metafora, la poesia, la ricerca di particolari forme espressive.

 

QUINTA

Perché fare teatro in carcere “fa bene” sia a chi accetta di mettersi in gioco, sia a chi lo propone.

Insistiamo con la pratica teatrale con detenute e detenuti nella costante ricerca creativa, strumento adatto a sorprendersi, a guardarsi ed essere guardati sotto diversa luce, a ripensare a se stessi, a riscoprire una dignità perduta fuori dal carcere ma che spesso le carceri non aiutano a recuperare.

Facciamo teatro in carcere perché la qualità del tempo creativo speso con gli attori detenuti ha una dimensione profonda, lontana dai ritmi di produzione a cui ci costringe il “sistema spettacolo” in Italia.

Facciamo teatro in carcere perché la qualità dell’incontro con queste anime poetiche è sorprendente, ci spiazza, ci mette nella condizione di continuare a scoprire cosa l’arte è capace di generare, ci permette di approfondire la riflessione sulla funzione sociale del teatro.

 

SESTA

Per essere nuovamente interpreti e protagonisti delle proprie vite.

Crediamo che il teatro in un contesto sociale, come quello del carcere, possa trovare il vero compimento. Il teatro è il luogo dove, attraverso l’immaginazione si può sognarsi diversi, migliori, è il luogo dove poter esprimere le proprie necessità , le proprie speranze , i propri fallimenti , i propri sogni. Il teatro in carcere offre a tutti coloro che partecipano la possibilità di rendere visibili desideri spesso invisibili, di essere nuovamente interpreti e protagonisti delle proprie vite, di poter guardare fuori per ritrovare, complice il teatro e la finzione, una nuova liberazione.

 

SETTIMA

Perché nel gioco si cela un atto rivoluzionario.

Parlare di gioco all’interno di un istituto penitenziario potrebbe sembrare una blasfemia, eppure è nella parola ludere che si nasconde l’atto rivoluzionario, in almeno due aspetti dell’attività laboratoriale. Il primo concerne la possibilità di abbattere le resistenze personali legate al giudizio che ognuno ha di sé, trasformando il giudizio e i sentimenti ad esso legati (timidezza e superiorità) in un gioco teatrale, “svuotando” la mente e preparandola ad un’ascolto più attivo e partecipato.

 

OTTAVA

Perché è necessario, senza sosta, alzare l’asticella.

I detenuti sono attori veri e propri e questo ruolo alza di livello del confronto con le Istituzioni carcerarie, per quanto riguarda la qualità artistica da conseguire, ma anche l’ammontare economico dei progetti. E siamo noi artisti che dobbiamo cercare questi fondi, sta sempre a noi il compito di alzare l’asticella. È un atto di consapevolezza e di coscienza quello di dirottare i fondi su questi progetti, e il mondo del carcere ci accoglie e rispetta perché sa che c’è questo investimento di energie e risorse.

 

NONA

Perché la mancanza di libertà mette in moto processi creativi.

L’umanità privata della libertà può mettere in moto dei processi creativi particolari, spesso non possibili in libertà. La pratica teatrale in carcere permette agli attori/non-attori di far emergere capacità e possibilità non conosciute, nascoste, rimosse. La pratica teatrale strutturata e continuativa permette di sperimentare non forme di “cameratismo”, ma occasioni di lavorare con passione in gruppo dove l’individuo e la dimensione corale sono le polarità da valorizzare entrambe. In un luogo, dove spesso dissimulare è vitale e per lo più conveniente, lo sperimentare le proprie piccole verità è un’azione fondante nel percorso di ricostruzione personale. Quando il teatro-carcere non è intrattenimento da teatro amatoriale, ma diviene necessario per chi lo pratica e per chi ne è testimone, allora il teatro riscopre la sua natura di pietra angolare e di pietra di scandalo.

 

DECIMA

Per smettere di esser ultimi!

Io, che al liceo ero ultimo della classe, mi rimbocco le maniche e metto le mani in pasta insieme a loro e insieme smettiamo di essere ultimi, e smettiamo di essere in classifica. Il teatro si fa strumento di bellezza. La bellezza che tutti mette in scena, senza primi e senza ultimi. Perché quello che succede con il teatro, tra le mura del carcere, coinvolge le mura stesse, i detenuti spettatori e quelli attori, il personale e la polizia: è una situazione che succede e nel momento che succede si va a raccontare qualcosa che non ha classe e classifica. Perché il teatro che facciamo nascere diventa altro. A volte non lo capisco nemmeno io cosa diventi, ma sento che succede e dà una forma diversa alle esistenze. Anche solo per due ore. Ma i tempi sono quelli che sono e gli alberi hanno tempi di maturazione diversi. E lavorare nel rispetto di quei tempi, nel tempo che stiamo vivendo, mi sembra naturalmente bello. E forse, anche un po’, rivoluzionario

 

 

MI piace firmare questo manifesto e renderne testimonianza con alcune tesi ed articoli che sono pubblicate in questo sito

TESI

Il training teatrale come possibile strumento terapeutico dott.ssa Cristiana Bortolotti,.5 /08/2012-sezione Tesi

Bambini dentro dott.ssa Ilenia Orlando ,23/05/2017-sezione Tesi

Teatro in carcere dott.ssa Beatrice Magni,5/11/2020 -sezione Tesi

ARTICOLI

Non ho visto donne… dentro,ho visto bambine fuori,daMere Ubu’ di Paolo Billi ,23/06/2017, (Carcere della Dozza)

I bambini in prima fila-BombAway ,6/05/2017,di Paolo Billi,basilica di San Francesco,Bologna

La scandalosa gratuità del perdono,spettacolo itinerante fra le chiese di Pontremoli,di Paolo Billi 23/10/2021

La scandalosa gratuità del perdono,spettacolo itinerante fra le chiese di Bologna, 4/07/2022 (con detenute della Dozza)

 

 

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Maria Rosa DOMINICI

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psicologa,psicoterapeuta vittimologa,membro dell'Accademia Teatina delle Scienze,della New York Academy ofSciences,dell'International Ass. of Juvenile and Family Court Magistrates,della Società Italiana di Vittimologia,della W.S.V.,dell'Ass.internazionale di Studi Medico Psico Religiosi.,docente di seminari di sessuologia, criminologia e vittimologia in università Italiane e straniere,esperta per progetti Daphne su tratta di minori e sfruttamento sessuale,creatrice del progetto Psicantropos,autrice di varie pubblicazioni,si occupa di minori e reati ad essi connessi da 40 anni.

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